Approfondimenti sulla didattica a distanza

L’articolo dal titolo “La didattica dopo il COVID“, pubblicato su queste colonne qualche giorno fa, ha ricevuto numerosi e interessantissimi commenti, che può essere utile riportare in evidenza qui, per consentire una più agevole fruizione di contributi che approfondiscono e arricchiscono notevolmente il tema che questo blog ha provato a lanciare.

Un ringraziamento molto sentito, quindi, alle colleghe e ai colleghi che hanno partecipato a questo dibattito, che sono certo l’Ateneo troverà forme e modi per amplificare e arricchire, proseguendo sulla linea dell’attenzione alla didattica che il sostegno al Progetto Mentore e la recente costituzione del Centro per l’innovazione e il miglioramento della didattica universitaria (CIMDU) testimoniano con evidenza.

Su segnalazione del collega Matteo Di Gesù, inserisco anche il link ad uno spazio di discussione proposto dalla rivista “Griselda on line“, nella sezione “Diario da una quarantena“, con diversi interventi sul tema della didattica a distanza.

Nel seguito i commenti sono riportati nell’ordine con cui sono pervenuti a questo blog.

Commento di Barbara Manachini       

Caro Enrico,
come sempre lanci degli ottimi spunti su cui riflettere. In questo periodo sto tenendo molte lezioni on line e lo sforzo è sicuramente molto elevato anche perchè sono state pensate per una modalità di erogazione diversa. Certamente la didattica on line potrà offrire diversi vantaggi anche se andrà pensata con quella specifica finalità e non so, almeno all’inizio, quanto sarà un risparmio di tempo e di denaro. Gli studenti che ho adesso seguono abbastanza bene e cerco di fare soventi “interrogazioni” per comprendere quanto in effetti gli arriva e tutto sommato direi che va bene. Ma la certezza del nostro operato l’avremmo tra qualche mese. L’Università on-line è comunque presente da tempo così come anche licei e altre scuole superiori ma non hanno, almeno per ora, lo stesso fascino e successo di quelle diciamo “tradizionali”. Per un impiego massiccio di queste tecnologie andrebbe ripensata la didattica non come lezioni erogate dal docente ma come piattaforme interattive con pop-up e link, altrimenti non credo che vi sia davvero un vantaggio educativo. La situazione generata da questa emergenza ci spinge però anche a riflettere su quante possibili implicazioni positive ci possono essere in tale erogazione (ad esempio studenti malati, disabili, studenti impossibilitati a spostarsi, erogazioni in differita per studenti lavoratori, stranieri). Forse inizierei a pensare a questa altra realtà di possibili studenti che a volte tralasciamo e che con queste tecnologie potremmo avvicinare ancora di più allo studio “presso” il nostro Ateneo. Invece di aver paura di ridurre il numero dei docenti penserei di più a come queste tecnologie potrebbero favorire l’incremento del numero di studenti e includere quelle realtà che non abbiamo raggiunto ( o parzialmente) fino ad adesso. Forse sono troppo ottimista!?

Commento di Alberto Lombardo        

Caro Enrico,
anch’io mi sono interrogato da subito sulle implicazioni future di questa trasformazione. In realtà penso che l’orizzonte sia ancora più grave, non su scala di Ateneo, ma nazionale. I docenti si ridurrebbero a esercitatori e verificatori, appunto in stile Nettuno, per non dire CEPU, con il definitivo declassamento degli atenei di “provincia” a semplici “teminali” degli atenei di “eccellenza” come sempre autopromossi tali.
Quello di cui dobbiamo tenere conto è qual è la necessità del sistema produttivo italiano, che sarà oltremodo declassato dalla crisi. L’Italia ha il triste primato contemporaneo del numero minimo di laureati e il numero massimo di laureati disoccupati. Non dipende dal fatto che gli studenti si iscrivono a papirologia (con tutto il rispetto), ma il fatto che sono chiusi gli sbocchi tradizionali PUBBLICI della scuola, della sanità (e lo stiamo vedendo) delle professioni che sono alla canna del gas (avvocati, architetti). Anche tra gli ingegegneri, nonostante quello che si dice, c’è una grande “declassificazione” (i nostri ragazzi pagati a 1.300 euro al mese a Milano o Roma: altro che classe dirigente! sono il nuovo proletariato intellettuale). In sostanza questa sarà una ghiotta occasione per il sistema economico italiano (io lo chiamo il capitalismo, scusate) per ristrutturare a propria necessità il sistema universitario.
Tu dici: non possiamo arroccarci sul passato (se non si fanno più le carrozze non ha senso produrre fruste, si diceva). Giusto. Ma il futuro qual è? E’ questa la domanda. Se non c’è uno scatto nella richiesta dei propri diritti e accettiamo quello che avviene come il diluvio universale e non come una logica che alcuni (pochi) uomini impongono a tutta l’umanità, non abbiamo al giusta chiave di lettura.
Quindi: 1) lo stato deve tornare a essere il massimo investitore in tutti i settori, basta col la solfa che il privato è bello; 2) le risorse ci sono (spese militari, trasferimenti ai privati, VATICANO, banche, ….); 3) non facciamoci prendere per i fondelli tra MES e Coronabond, stanno litigando per quale corda usare per impiccarci: sono sempre debiti che prima o poi peseranno sul nostro groppone, bisogna spendere a credito stampando moneta. Finalmente è sotto gli occhi di tutti cos’è l’euro!

Commento di Giusi Balsamo               

Gentilissimo Collega, ti ringrazio per avermi offerto la possibilità di esprimere la mia opinione su quella che ritengo sarà una svolta epocale nell’ambito della Istruzione, nel senso più alto e ampio del termine.
Sono convinta che l’uso della didattica a distanza, ha costretto molti di noi ad un superlavoro per l’adeguamento a “piattaforme digitali” fino ad ora sconosciute ed all’utilizzo di “mezzi tecnici” (PC e collegamenti web) talvolta inefficienti; ma, allo stesso tempo ha fatto emergere un problema che nella nostra Sicilia è ancora presente: non tutti i nostri utenti (studenti e famiglie) sono in grado di fruire della “didattica erogata a distanza”. La situazione di emergenza causata dal Covid-19 forse produrrà un piccolo effetto positivo se, oltre a migliorare la nostra capacità di utilizzo dei mezzi informatici, ci consentirà di colmare il divario esistente tra studenti del Sud-Italia e studenti del Nord.
Detto ciò, convinta dell’assoluta validità del confronto produttivo tra docenti e studenti, sono sicura che ognuno di Noi dovrà interrogarsi sul come trasformare la propria “didattica” affinché non venga appiattita in un mero insieme di “registrazioni” cristallizzate in un formato standard. Buon lavoro a tutti Noi.
A presto!

Commento di Mario Serio                   

Caro Enrico,

Un cordiale ringraziamento per le tue riflessioni, da apprezzare non solo per il merito intrinseco ma soprattutto per l’attitudine, che da esse traspare, ad elaborare, ed offrire ad una comunità che sempre più lo attende, un progetto articolato, e perfettibile, di Ateneo in cui didattica e ricerca riconquistino la platea d’onore sottraendola ai torrenziali precetti, alle soffocanti regole minute, alle disposizioni cogenti, agli adempimenti ciechi, all’egemonia dell’atto di imperio, anche eteronomo (funzionarial-burocratico) rispetto agli stessi Docenti, sulla discussione critica.
Di particolare interesse è poi l’idea, che beneficamente arieggia, di implicare come necessaria la partecipe presenza degli studenti a questa officina di pensieri e proposte: è da esser certi che la comunità ne trarrà beneficio incrementale.
Del tutto condivisibile è anche l’idea diretta difendere l’insostituibilità dell’apporto didattico del singolo Docente, non surrogabile attraverso semplificati e piatti insegnamenti massificati ed indistinti. Va da sé, ed è questo il punto su cui prevedibilmente si concentrerà l’auspicabile dibattito, che, ferma restando la possibilità di un’attività didattica di base (sostanzialmente corrispondente all’enucleazione dei lineamenti essenziali al primo apprendimento della singola disciplina), che un ruolo di primo piano possiedano le peculiarità dell’area del sapere propria del singolo insegnamento. Nel vasto perimetro delle scienze umanistiche spazio adeguato potrebbe, ad esempio, essere riservato alle integrazioni provenienti da corsi monografici (o monotematici, a seconda della nomenclatura invalsa nello specifico settore disciplinare) al duplice scopo di selezionare argomenti attrattivi ed attuali, anche in futura prospettiva professionale, e di proporre una convincente testimonianza del perdurante impegno scientifico e di ricerca del singolo Docente (al quale non può non richiedersi, anche a tutela del prestigio dello stesso Ateneo, una costante, immancabile dedizione alla causa dello studio e delle frequenti pubblicazioni). Insomma, occorre che procedano di pari passo la tensione verso la divulgazione basilare, che immetta lo studente nel mondo della prima informazione della materia, e quella, complementare ed insopprimibile, verso studi più qualificati e caratterizzanti, preferibilmente ascrivibili alla esigibile produzione scientifica degli stessi Docenti. E se questo felice connubio dovesse realizzarsi nessuno potrebbe ragionevolmente dubitare della permanente centralità della persona del Professore.

In conclusione, grazie per questa utilissima occasione di confronto tra posizioni, che è sperabile prosegua a largo raggio, sì da dar vita in futuro alla rimodulazione in termini culturali ed etici, e di riguadagnato prestigio esterno, del nostro Ateneo.

Un caro saluto,
Mario Serio

Commento di Francesco Cappello     

Caro Enrico,
ho letto con piacere e interesse il tuo articolo dal titolo “La didattica dopo il COVID” e non sono riuscito a trattenermi dal cogliere il tuo invito a partecipare al dibattito con un ulteriore spunto “provocatorio” di riflessione per te e gli altri colleghi che avranno la pazienza di leggerlo.
Premetto la difficoltà a fare un discorso “generico” che riesca a trarre delle conclusioni valide per tutte le “anime” del nostro Ateneo. E non mi riferisco soltanto alle sfaccettature culturali di ciascuno di noi (umanistiche, tecnologiche, biomediche, cliniche, etc.) ma anche al diverso modo di “vivere” l’Ateneo.

Non voglio entrare nel merito dei docenti che vivono in un’altra città e/o in un’altra regione, per i quali bisognerebbe fare delle considerazioni molto più approfondite. E neanche rivolgere il mio pensiero a quei colleghi che, avendo già un gran numero di forti motivazioni per ricominciare il percorso di crescita culturale proprio o della propria disciplina, bruscamente interrottosi, non vedono l’ora di ricominciare la vita di tutti i giorni.

I drastici tagli alla ricerca, l’impossibilità per molti di avere un contributo anche minimo per portare avanti una ricerca “curiosity driven”, la riduzione significativa del numero di dottorati e dottorandi, l’eccessiva burocratizzazione del sistema complicata da regole interne spesso incomprensibili e altri eventi negativi hanno fatto sì che molti colleghi abbiano progressivamente tirato i remi in barca vedendo l’Università come un “datore di stipendio” per meritarsi il quale si può/deve fare il meno possibile, limitando “i danni” a carico del proprio sistema nervoso e delle proprie arterie e godendosi nelle maniere più disparate il tempo libero. Quella che si presenta ai loro occhi (la possibilità addirittura di non dovere andare in Ateneo neanche per fare lezione, limitando anche il numero di incontri con colleghi con cui non si ha alcun afflato umano) può essere un’opportunità da cogliere, tuttavia, a discapito degli studenti. Su cui adesso sposto le mie riflessioni.

Le lezioni a distanza sono un abominio!

E non solo per tutte le considerazioni (che condivido) che tu hai fatto nel tuo articolo, in primis la riduzione dell’interazione docente-studente, ma anche perché determinano una drastica riduzione di una interazione – a mio modo di vedere – ancora più preziosa per la loro crescita umana e professionale, ossia quella tra studente e studente!
Come saremmo cresciuti noi se non avessimo avuto modo di interagire, discutere, litigare, riunirci in assemblea, organizzare manifestazioni o dibattiti pubblici, creare o mantenere associazioni studentesche coi nostri colleghi ai tempi dell’università? Avremmo maturato lo stesso spirito critico, gli stessi convincimenti ideologici, la stessa propensione al dibattito che abbiamo ora o tutto sarebbe stato più appiattito? Vogliamo prenderci la responsabilità di costruire una generazione di laureati cerebralmente appiattiti? Penso di no, penso che non lo voglia neppure il più svogliato dei nostri colleghi.

I docenti universitari, quindi, per me hanno il dovere morale di vivere e animare l’ateneo per il quale hanno scelto di lavorare anche tramite lezioni, esercitazioni, laboratori, seminari, ricevimento, esami e quant’altro “in presenza”. Perché solo in questa maniera favoriranno davvero l’interazione tra le generazioni del futuro e lo sviluppo del loro pensiero critico. Questa esperienza della didattica a distanza, al termine di questa emergenza, va consegnata al passato o comunque “congelata” per essere ripresa solo in circostanze di gravi emergenze quali quella che stiamo vivendo.

Infine, non dobbiamo nasconderci un altro problema che questa situazione farà emergere: il ritorno al lavoro usuale da parte di alcuni docenti che hanno accolto favorevolmente questa esperienza potrebbe essere vissuto negativamente, proprio per le ragioni che denunciavo sopra: anche i docenti vanno “motivati” a fare sempre meglio il loro lavoro, per prima cosa dando loro strumenti di aggiornamento e di ricerca; bisognerà quindi non lasciarsi sfuggire questa opportunità per pensare a come incentivare nuovamente i docenti che, negli anni, hanno perso le motivazioni che avevano all’inizio della loro carriera. Trasformare le difficoltà in opportunità è infatti un principio che dovrebbe essere insito in tutte le crisi per uscirne più forti di prima o comunque con meno danni.

Mi fermo qui per rispettare l’obbligo della brevità dell’intervento. Chi volesse approfondire le motivazioni della mia contrarietà alle lezioni a distanza, in particolare in merito alle “opportunità di interazione tra maestro e discepolo” e alla “genesi e trasmissione del sapere” in ambito accademico, può leggere qui un altro mio breve contributo: https://www.younipa.it/2020/03/17/unipa-prof-cappello-mai-mi-rassegnero-alle-lezioni-a-distanza/28712/
Molti cordiali saluti.

Francesco

Commento di Marco Tutone               

 Caro Francesco,
mi trovo assolutamente d’accordo con quanto hai scritto.
La mancanza dell’interazione studente-studente è forse la cosa che si sta sottovalutando di più. Non solo dal punto di vista dello scambio di idee in ambito didattico, ma anche dal punto di vista delle reti di conoscenza interpersonale che possono instaurarsi.
Quanti progetti, start-up, piccole imprese sono nate proprio dal confronto in ambito accademico tra due o più brillanti studenti?

Anche noi docenti possiamo essere stimolati da una domanda, da una osservazione di un nostro studente, portandoci a migliorare la nostra ricerca. Non sottovalutiamo questi aspetti.

Ci bastano già le “terrificanti” università online dove lo studente fa scorrere il video della lezione, per poi studiare acriticamente delle dispense che per dirla nel nostro magnifico dialetto sono “il cunto di li cunti”.

Tecnologia si, ma con “juicio”

Marco

Commento di Davide Rocchesso         

 Caro Enrico,

ti ringrazio moltissimo per avere avviato questo necessario dibattito. Tutto quello che scrivi è vero e condivisibile.

Il mondo dell’educazione superiore si sta in parte spostando verso l’active learning o il problem-based learning, non tanto per fare fronte ad emergenze che impongono l’uso di strumenti telematici,
quanto piuttosto per rispondere all’avanzata dei Massive Open Online Courses (MOOC) e delle piattaforme che offrono didattica online di alta qualità. Ciò si verifica ormai da qualche anno, almeno dall’ingresso nel mercato dell’educazione di Coursera come spinoff di Stanford University nel 2012 (16 milioni di dollari di investimento iniziale, ora è una billion+ company).

Ciò non ha nulla a che vedere con il concetto di università telematica che si è andato affermando in Italia. Una persona compra un MOOC perché vuole imparare ed eventualmente ottenere un certificato. Viceversa, una persona compra un corso di università telematica perché gli serve un pezzo di carta. Lo spostamento dell’attenzione dello studente-consumatore è dall’apprendimento alla valutazione. Ciò che interessa al cliente medio di università telematica è il superamento degli esami ed il conseguimento di un titolo.

Per queste ragioni, se si parla di evoluzione della didattica non si può evitare di parlare di evoluzione della verifica di apprendimento. A questo proposito, l’Università di Palermo in che direzione sta andando? Se le circostanze ci impongono di spostare anche la verifica di apprendimento su una piattaforma informatica, è sostenibile il mantenimento dell’impianto attuale?

Se osserviamo il calendario didattico di ateneo, esso riserva in un anno 24 settimane alle lezioni e 18 settimane agli esami, lauree escluse. Ora ci troviamo ad affrontare, nel mese di aprile, la difficilissima sfida di riportare su piattaforma telematica gli esami della nona sessione d’esame dei corsi erogati nella primavera del 2019. E’ normale dare agli studenti otto (nove per i fuori-corso) opportunità di essere valutati per uno stesso corso in un anno?

Così come è ormai chiaro per tutti che la lezione online richiede uninvestimento di tempo superiore a quello della lezione in presenza, allo stesso modo sarà presto evidente che fare esami online è molto più impegnativo. Già si è messa in conto l’estensione della sessione primaverile oltre il 24 aprile per consentire lo svolgimento di tutte le prove ed i colloqui previsti, in questo modo aumentando la sproporzione tra tempo dedicato alla valutazione e tempo dedicato all’insegnamento. Ma se per disgrazia dovessimo effettuare esami in questo modo anche a giugno e luglio, per molti di noi significherebbe predisporsi a fare solo quest’attività per un mese e mezzo (con il pericolo di incontrare in videochat lo stesso studente per tre volte), con buona pace della nostra attività di ricerca.

Come tu suggerisci, se riteniamo di abbraccire le nuove opportunità che la tecnologia ci offre dobbiamo farlo ripensando il modo di impostare le nostre lezioni in presenza. Ancor più, a mio avviso, dobbiamo ripensare le modalità di verifica dell’apprendimento ed il peso che gli esami hanno nella nostra attività di docenti e di ricercatori. Altrimenti finiremo per entrare in competizione con le università telematiche che, nel nostro paese, non sviluppano conoscenza ma erogano pezzi di carta, alla faccia della dematerializzazione digitale.

Un cordiale saluto
Davide

Commento di Luigi Badalucco               

Caro Enrico,

grazie intanto per l’interessante spunto di discussione. Partirei ricordando la seggezza degli antichi “in medio stat virtus”…Anche se, prima del coronavirus, il docente che avesse voluto avrebbe già potuto caricare ogni sorta di lezione e materiale di sussidio ad “effetti speciali” sul proprio sito didattico, a beneficio degli studenti. Francamente mi auspico che l’università pubblica non si telematizzi troppo, di fake-lauree è già pieno il “mercato”…D’altro canto, non possiamo nasconderci che non tutto il corpo docente (mi ci metto dentro) ha vissuto e sta vivendo la rivoluzione telematica della didattica senza un moto di ripulsa e con l’autocompiacimento della superiorità…In questo senso, forse l’obbligatorietà di alcuni corsi di aggiornamento non avrebbe guastato…La nostra generazione non ha fondato il proprio apprendimento sulla “visione”, bensì sulla “meditazione”, ed il metodo non mi sembra abbia dato cattivi frutti…Sul metodo della “visione” è ancora troppo presto per pronunciarci, se mai ne avremo il tempo…

Cari saluti

Luigi

Commento di Marcella Aprile             

Riflessioni sulla teledidattica.

Provo a raccontare che cosa ho – provvisoriamente – desunto dalla esperienza in corso circa l’erogazione della didattica via computer.

Premetto che nei corsi di laurea e laurea magistrale afferenti al DARCH si fa abitualmente uso di strumenti di supporto alla didattica per la riproduzione di immagini (le lavagne luminose piuttosto che le diapositive e, ora, i computer). Quindi non è stato difficile (credo per nessuno dei colleghi del dipartimento) organizzare le lezioni a distanza e, di conseguenza, intavolare una discussione con gli studenti virtualmente presenti.

Tuttavia, in quasi tutti i nostri corsi è previsto che la gran parte delle ore di lezione sia utilizzata per la redazione di progetti o di altri elaborati grafici, i quali richiedono anche una produzione di disegni manuali – preliminare all’elaborazione digitale – sui quali studenti e docenti ragionano insieme in aula. E, comunque, la “dimensione d’aula” caratterizza l’intera durata del corso.

Questo aspetto della didattica specifico dei laboratori di progettazione – e, certamente, presente in altri insegnamenti che prevedono attività applicative – non è obiettivamente sostituibile da altro sistema. Sto provando, perciò, a trovare un analogo adatto alla situazione attuale e, cioè, a organizzare una sorta di “correzione collegiale” degli elaborati di ciascuno studente attraverso la piattaforma digitale: non sono ancora in grado di valutarne efficacia ed esiti, ma sono sicura che non si possa eliminare il rapporto diretto studente docente in aula.

Credo, comunque, che questa esperienza mostri alcune prospettive potenziali.

Per esempio, si potrebbero organizzare “pacchetti” di lezioni (registrate) – anche svolte da docenti diversi su argomenti analoghi o su un unico tema sviluppato da varie angolazioni e così via – da mettere a disposizione di tutti gli studenti (e, perché no, dei docenti), usando la stessa piattaforma che stiamo adoperando adesso.

Altrettanto potrebbero fare gli studenti per loro iniziative o per sollecitare risposte e/o riflessioni a più voci su questioni inerenti il loro apprendimento, sia dal punto di vista del metodo che dei contenuti.

In questo momento non mi viene in mente altro, ma sicuramente ci sono altre opportunità da esplorare e altre modalità da sperimentare.

Grazie Enrico per questa iniziativa.

Marcella Aprile 

Commento di Renato Lombardo         

Caro Enrico, cari tutti,

credo che molti noi si sono trovati in questi giorni condividere la tua riflessione sui cambiamenti a cui assistiamo. Una riflessione che non si è limitata al solo settore dell’insegnamento ma più in generale all’impatto della “interazione a distanza” su molte abitudini e azioni di ogni giorno. D’un tratto, ci siamo ritrovati non solo a fare lezioni su piattaforme online, ma anche lauree (ben presto esami), riunioni di lavoro e perfino aperitivi fra amici. Molti settori della società si trovano quindi di fronte alle stesse sfide, alle stesse paure, ma anche alle stesse occasioni di crescita.

Sui principali mezzi di informazione abbiamo letto molte riflessioni sul “dopo” e su come questo forzato incontro con la tecnologia potrà cambiare il nostro mondo. Ovviamente, è presto per trarre qualsiasi conclusione, ci vorranno probabilmente degli anni, ma è certo che questo sia il momento di cominciare a pensarci in modo attivo e anche propositivo. Questa trasformazione, però, era già in corso, seppure a una velocità degna della deriva dei continenti. L’accelerazione di questi giorni, potrà essere dirompente, se continuerà anche passata l’emergenza.

Tornando al punto principale del tuo post, la didattica universitaria, concordo anche io che, se non vogliamo esserne schiacciati, dovremo in qualche modo essere noi a gestire una inevitabile trasformazione del modo di insegnare. D’altronde, se non lo faranno i docenti universitari, chi altro dovrebbe farlo?

I processi e gli attori da mettere in gioco saranno tanti. Io, volando molto basso, comincerei distinguendo i vari livelli di insegnamento.

Per una laurea triennale immagino una didattica blended, nella quale le lezioni (o la maggioranza di esse) siano in presenza, così come anche esercitazioni e ricevimento. In questo caso, la didattica a distanza potrà essere uno strumento in più per fornire approfondimenti, stimolare la discussione nella classe in modo asincrono su un forum o altro strumento, per le verifiche in itinere, per fare ricevimento per studenti che non possono farlo dal vivo, per particolari tipi di esercitazioni, lavori di gruppo, ecc.

Per una laurea magistrale la modalità potrebbe comunque essere blended, ma questi strumenti sarebbero impiegati più estesamente. Potremmo pensare a fare alcuni corsi a distanza, in particolare seminari di specialisti di altri atenei o provenienti da altre realtà, quali industria o altri enti. Forse alcune verifiche finali potrebbero anche essere erogate in questo modo. Immagino che per alcune discipline possano funzionare meglio che per altre.

Per i master postlaurea la modalità potrebbe essere sia blended, come visto prima, che del tutto o quasi formazione a distanza (FAD). Gli studenti in questo caso sono molto più maturi e spesso sono lavoratori impegnati in altre attività. Come in altri casi di FAD, si potrebbero pensare alcune verifiche a distanza ed altre in presenza, concentrandole in periodi molto ristretti. Una strategia di questo genere renderebbe i master accessibili anche a studenti di sedi lontane, perfino all’estero.

Quale che sia il livello scelto, però, dovranno cambiare anche le modalità di fare didattica. Non possiamo pensare di riversare semplicemente la nostra solita lezione in un video, e pensare così di aver fatto didattica a distanza. Sia il modo di insegnare che di fare verifiche andrà ripensato. L’active learning dovrà sicuramente avere molto più spazio. Ma non potremo farlo dall’oggi al domani, avremo bisogno di formazione (penso al progetto mentore, ma dovremo fare di più), apertura mentale (e qui la mia fiducia vacilla un po’) e di voglia di cambiare un aspetto della nostra professionalità che ci definisce così tanto. Non sarà un processo facile. Cominciare un po’ alla volta, con modalità blended, lo renderà un po’ più semplice e meno doloroso

Io, grazie anche al progetto mentore, da qualche anno ho cominciato a impiegare la piattaforma elearning.unipa.it per applicare “timidamente” alcune strategie di una didattica blended. Devo ammettere di non aver avuto un grande successo. Quasi mai gli studenti hanno sentito il bisogno di impiegarla. Si sono limitati a un impiego “passivo”: scaricare le slide del corso, guardare i video che postavo con approfondimenti presi da youtube o simili, forse leggere un po’ del materiale e link di approfondimento. Il forum di discussione, però, è rimasto silenzioso. Nessuno studente, o quasi, ha mai fatto interventi, chiesto spiegazioni, ecc. Tutto questo, probabilmente, per una certa mancanza di fiducia, per non volersi “esporre”, ma anche per una certa mancanza di esperienza e anche per la poca ergonomia dello strumento del “forum”, ormai troppo datato per una generazione che vive di social network. Probabilmente un sistema di commenti a un video in stile facebook avrebbe funzionato meglio.

Questo ci porta a un aspetto importante nella discussione: gli strumenti impiegati non sono un dettaglio: possono fare la differenza; ma possono anche essere un vincolo micidiale. La direzione che prenderemo oggi e domani sarà importante nel determinare molti aspetti della nostra didattica e anche della nostra politica universitaria.

Anche io, come te, sono un entusiasta sostenitore del software libero, in particolare open source.

Questo non solo per motivi etici, ma soprattutto per motivi pratici. Credo quindi che in questa rivoluzione digitale dovremo sempre di più cercare di impiegare software, piattaforme e strumenti che siano il più possibile aperti e liberi. Non farlo significherebbe rimanere prigionieri di una piattaforma, di un formato, di un produttore, dei suoi obiettivi e delle sue limitazioni.

Nella concitata scelta in emergenza della piattaforma per la nostra didattica a distanza, il SIA ha indirizzato gli organi di governo (o meglio, il Rettore) verso Microsoft Teams. Una piattaforma proprietaria, per la quale abbiamo anche dovuto estendere il numero di licenze “al volo” per poterla impiegare con miglior profitto. Questa decisione mi ha inizialmente colto di sorpresa, dato che avevamo già una piattaforma pensata per questo scopo (elearning.unipa.it), basata su uno strumento molto potente e opensource (moodle) con una enorme base di utenti, di plugin per estendere le funzionalità, di tutorial e materiale di formazione disponibile in rete. Subito dopo, però, ho realizzato che la scelta era dovuta alla impossibilità della nostra infrastruttura informatica di sostenere 700 corsi online. Non abbiamo la banda, non abbiamo la capacità di calcolo, non abbiamo probabilmente neppure quella di stoccaggio dei dati. Il nostro sistema di elearning era più una sorta di esperimento e non una struttura pensata effettivamente per funzionare a pieno regime.

Microsoft teams, a mio parere, è una bella piattaforma, pensata però più per “meeting” di lavoro che non per la didattica online. Gli strumenti per questo scopo mi sembrano un ripensamento successivo piuttosto che una parte integrante del progetto. Ma, ovviamente, queste sono solo delle semplici considerazioni di un ricercatore di chimica fisica, non di un esperto nel campo della didattica. Sono basate su impressioni per nulla corroborate da dati o approfondite indagini.

Ad ogni modo, possiamo impiegare Teams e la suite Office proficuamente per fare lezioni in questo momento. Molto meno proficuamente per fare verifiche. Lo strumento Forms è decisamente limitato rispetto, ad esempio, a moodle. Ho cercato di studiarlo un po’, ho fatto anche un piccolo tutorial.

Potremo usarlo in questa situazione di emergenza ma non credo però che sia ottimale per un impiego a lungo termine.

Al di là di queste considerazioni, però, l’impiego della suite Microsoft (o di un altra suite commerciale) sul medio/lungo termine ci “imprigionerà” nel loro prodotto. Con le limitazioni del caso e con i costi di licenza. D’altro canto, però, ci libera del problema di implementare e gestire l’infrastruttura necessaria, che ha costi e difficoltà non indifferenti. È una scelta non banale che dovrà essere fatta con una attenta valutazione di costi/benefici. Finora mi pare invece che la scelta dei prodotti da impiegare sia stata

piuttosto ondivaga. Il nostro ateneo ad oggi ha a disposizione la suite Google (communty.unipa.it), quella Microsoft (you.unipa.it), una piattaforma moodle ospitata in locale sui server di ateneo (elearning.unipa.it), una piattaforma owncloud ospitata in locale sui server di ateneo (cloud.unipa.it).

Non vedo un progetto in questo, ma una sovrapposizione irrazionale. In più, non mi è chiaro come sono stati scelti questi strumenti: autonomamente dal SIA? Passando attraversi gli organi di governo? Infine, dopo averli implementati, quale rapporto hanno avuto negli anni passati con l’ateneo? Non credo di aver mai ricevuto formazione o informazioni su nessuno di questi strumenti, ma probabilmente mi sono sfuggite.

La mia modesta proposta è quella di esplorare la possibilità di impiegare principalmente strumenti opensource, in modo da non avere limiti di licenze, formati, ecc., gestiti su server locali e su server di cloud computing quali Amazon Elastic Computing, Microsoft Azure, Google Computing Engine, ecc.

Questa soluzione ci permetterebbe di avere tutto ciò che ci serve in locale, dimensionato per un impiego medio. Se dovesse esserci però la necessità improvvisa di aumentare il carico di lavoro, basterebbe moltiplicare le istanze su molti server nel cloud. È la stessa strategia che usano i siti di ecommerce per rispondere ai picchi di richieste a Natale o in occasione del lancio un nuovo prodotto.

Sicuramente ci sono molti aspetti della questione che mi sfuggono (costi, capacità di gestione, ecc.) ma potrebbe valere la pena che chi ha le competenze e l’autorità decisionale ne studi la fattibilità.

Questo vale per tutte le scelte che saremo chiamati a fare. Quando tutto questo finirà, ci sarà una forte tentazione di dire “ha funzionato così, continuiamo a fare così”, “le lezioni online con questo formato vanno bene, non cambiamo di nuovo”, “la gente già si è abituata a usare questa piattaforma, non cambiamola”, ecc. Ma dobbiamo assolutamente evitare che le scelte fatte in emergenza, in fretta e furia, si consolidino automaticamente in progetti a medio o lungo termine. Sono decisioni troppo importanti per farcele imporre dalla contigenza, per non passare attraverso una analisi approfondita dei costi/benefici, della valenza didattica, della sostenibilità a lungo termine, delle implicazioni politiche ed economiche. Gli organi di governo, le strutture didattiche, i singoli docenti, dovranno essere coinvolti nella elaborazione di questo progetto. Quando non saremo più in una condizione di emergenza, non dovremo più agire come se lo fossimo. Troppo spesso, anche negli organi chiamati a decidere le decisioni vengono prese in fretta perché “non c’è tempo, dobbiamo dare una risposta oggi, anzi ieri”.

Questo è il momento di pianificare bene e, poi, solamente poi, agire con decisione. 

Commento di Nuccio Scialdone        

Caro Enrico,

ti ringrazio molto per le tue considerazioni e gli stimoli che condivido. Nel seguito mi limiterei ad alcune brevi considerazioni su alcuni aspetti.

1) Come ricorderai, nell’ambito del progetto mentore abbiamo affrontato l’argomento dell’e-learning in due seminari tenuti dal prof. Giuseppe Silvestri in cui si è ricordato che gli Atenei più prestigiosi a livello mondiale sono attivi da tempo con la didattica a distanza, seppur con esiti contrastanti. In quelle occasioni, si è ricordato che oggi a differenza del passato è disponibile una quantità immensa di informazioni facilmente accessibili per gli studenti su quasi ogni argomento. Di conseguenza, il docente da tempo non è più il depositario unico della conoscenza, ma sempre più dovrebbe aiutare gli studenti a sviluppare un approccio per muoversi tra le informazioni disponibili con capacità critica in modo da potere autonomamente discernere tra queste. La didattica frontale basata soprattutto sulla trasmissione delle conoscenze sembra sempre meno rilevante e sembra sempre più importante un approccio didattico mirato a sviluppare senso critico. Come è stato detto in un altro seminario, c’è da tempo un cambiamento in atto da (i) docente che trasmette informazioni e insegna procedure per risolvere problemi standard e ripetitivi a (ii) docente che aiuta gli studenti a sviluppare un approccio critico per risolvere problemi complessi sempre nuovi e diversi ma comunque dati dall’esterno a (iii) docente che aiuta gli studenti a porre domande critiche per cercare di decodificare la complessità.

2) Come ricordato in un altro seminario tenuto dal prof. Andrea Cozzo, per rifarsi al mondo greco si potrebbe (semplificando e inevitabilmente falsificando e scusandomi con gli esperti e con il relatore del seminario per le inevitabili forzature …) raggruppare l’insegnamento in tre grandi tipologie: (i) il maestro di un solo discente che guida e asseconda la crescita dello studente come il giardiniere asseconda e guida la crescita dell’albero, dove l’insegnamento dipende fortemente dalle specificità dello studente; (ii) il professore che riversa sugli studenti conoscenze eguali per tutti con un’ampia distanza (in tutti i sensi) tra docenti e discenti; (iii) il docente socratico che costruisce insieme agli studenti la conoscenza. Tra queste tre macro-alternative, si dovrebbe forse oggi mirare verso una sintesi tra il primo e l’ultimo approccio: un docente socratico che costruisce la conoscenza insieme agli studenti tenendo conto delle differenze tra di loro e cercando di erogare una didattica differenziata per gruppi sulla base delle diverse situazioni di partenza e dei diversi stili di apprendimento.

3) In una regione svantaggiata da tutti i punti di vista come quella della nostra regione, l’università potrebbe (e forse dovrebbe) aspirare a compensare questa situazione di svantaggio fornendo agli studenti una formazione di alto livello e adeguata ai tempi. Si dovrebbe forse tendere sempre più verso una didattica che aiuti gli studenti a decodificare le informazioni disponibili e la complessità del mondo reale, che supporti gli studenti a sviluppare un approccio critico e costruttivo, differenziando la didattica per gruppi di studenti, fornendo sia strumenti più complessi che metodi più semplici ma comunque efficaci per trovare un lavoro e svolgerlo in modo positivo per la società.

Per fare tutto ciò la didattica a distanza non sembra certamente la soluzione; al contrario appare sempre più utile una didattica maggiormente partecipativa. La didattica a distanza può essere, mi sembra, un utile supporto a corollario di una didattica che coinvolga sempre più gli studenti, che aiuti a sviluppare senso critico, che tenga conto delle specificità dei discenti, che differenzi obiettivi e approcci e che lavori sia sull’interazione tra docenti e studenti sia sull’interazione tra studenti. Ovviamente, la didattica non si modifica in pochi mesi. È un cammino che richiede tanti piccoli passi che deve tenere conto anche delle specificità del docente, delle sue propensioni e dei suoi punti di forza. Eppure, è un cammino certamente possibile, se si vede, ad esempio, come diversi docenti del progetto mentore abbiano negli anni progressivamente modificato i loro corsi con successo, o come diversi docenti dell’Ateneo indipendentemente eroghino una didattica davvero efficace.

In quest’ottica, il nostro Ateneo, a mio modesto modo di parere, dovrebbe fornire sempre più strumenti ai docenti per aiutarli a riflettere sul ruolo del docente e per migliorare l’efficacia della loro didattica. Il progetto mentore e il CIMDU (tramite il ciclo di seminari per i neoassunti) vanno, mi sembra nella direzione sopra menzionata, mentre la didattica a distanza, se lasciata sola, al di fuori di questa fase emergenziale porterebbe esattamente nella direzione opposta.

Un caro saluto

Nuccio (Onofrio) Scialdone

Commento di Andrea Cozzo               

Caro Enrico e car* collegh*, ho letto con interesse le vostre considerazioni e mi trovo pienamente d’accordo su quella che mi sembra essere la linea di pensiero principale: le lezioni online sono il debole filo che tiene unita la comunità didattica (in realtà unita a metà, come possiamo dire tenendo conto delle osservazioni di Francesco Cappello e di Marco sull’importanza del rapporto studente-studente) in un momento di emergenza e quindi ben vengano, … ma non sono lezioni (e quindi non possono diventare la norma). Sono trasmissione di informazioni – di quelle informazioni che ciascun docente ritiene importanti perché studenti e studentesse possano superare l’esame, …ma che, lo ribadisco, non sono lezioni, cioè non sono “comunicazione”, messa in comune, di un sapere consapevole, non sono costruzione di un’intelligenza collettiva. Tu, Enrico, hai ben messo in evidenza come la «mancanza del contatto diretto con gli studenti» costituisca un grosso rischio, anzi direi un sicuro ostacolo alla lezione considerata secondo la definizione che ne ho appena dato. Nuccio Scialdone, che richiamava anche la notazione fatta da Giuseppe Silvestri ad un suo seminario sul fatto che in realtà tutto “il sapere tecnico” è già a disposizione di chiunque su Internet, sintetizzava bene, mi pare, l’idea di ciò di cui abbiamo bisogno con l’espressione «didattica maggiormente partecipativa». Da questo punto di vista, la didattica online va contestata, dici benissimo, Enrico, non semplicemente perché riduce il numero di docenti necessari ma perché va addirittura in direzione esattamente contraria a quel requisito necessario a che si realizzi una buona docenza, che è fatta, come dici ancora bene tu, di non massificazione, dunque di un numero di studenti e studentesse minore per ogni corso, … dunque di un numero maggiore di docenti! Per questo, pur apprezzando le domande di Davide Rocchesso sulle capacità tecniche del nostro Ateneo di affrontare il problema degli esami online, credo di essere in (rispettoso) disaccordo con la sua distinzione tra MOOC e Università telematica: la didattica «di qualità», per me, abbisogna di rapporti umani, di scambi di parole, di toni, di gesti (insomma di tutto ciò che Watzlawick dice essere attinente agli aspetti «analogici», cioè relazionali, della comunicazione, e non solo a quelli «digitali», ovvero contenutistici). Di più, una didattica di qualità, nonostante le, per me assurde, pretese della Scheda di trasparenza, non è un percorso lineare ma – evviva la Teoria del Caos e dei processi fondati sull’Incertezza, che abbiamo accolto nelle Scienze cosiddette Dure ma… abbiamo scacciato da quelle cosiddette Morbide, quale è anche quella che si occupa della didattica!!! – disponibile, e forse anche invitante, all’imprevisto, alle deviazioni, in un “sistema-aula” che, per parlare il linguaggio dei Biologi, dovrebbe essere considerato dotato di non solo chiusura organizzazionale ma anche di apertura termodinamica. Il (buon) percorso didattico è un processo che chiamerei di «caos controllato». Sono d’accordo infine sul fatto che le piattaforme informatiche possono essere utili, invece, per accogliere «le parti puramente “contenutistiche” dei diversi insegnamenti» (e Luigi Badalucco ci ricorda che di fatto ciò era possibile anche prima dell’attuale emergenza) ma, per dirti tutto ciò che penso, cosa sia «puramente contenutistico» non è del tutto ovvio. Personalmente, ad esempio, non metterei in questa categoria «la narrazione dei fatti storici» che anzi, a mio parere, costituisce uno di quei fattori maggiormente capaci di sollecitare domande impreviste e di creare problemi piuttosto che di offrire risposte. E una buona didattica, ritengo, ha bisogno esattamente di questo: fornire risposte e creare problemi – problemi che non sono mai soltanto tecnici. Ma questo è un discorso lungo e io ho già approfittato troppo della Tua ospitalità. Grazie ancora per le stimolanti riflessioni, Tue e di chi altri ha scritto, e un abbraccio.

Commento di Concetta Giliberto       

Caro Enrico
grazie, ho trovato l’articolo davvero illuminante e mi trovo in gran parte d’accordo con quello che affermi, anche se mi auguro che scenari così drastici (quasi stile “Matrix!!”) come quelli che prospetti non si realizzino mai.
Interessantissimi e stimolanti anche i contributi degli altri colleghi.
Sono fortemente convinta tuttavia che dovremmo incentivare l’uso degli strumenti informatici a supporto della didattica (e della ricerca) tradizionale, che va mantenuta assolutamente, per non assistere a un depauperamento del nostro sistema accademico. Piattaforme, software, applicativi vanno utilizzati per venire in aiuto ai docenti nella risoluzione di problemi pratici anche quotidiani e inevitabili (e mi riferisco banalissimamente alla sovrapposizione delle lezioni o al recupero delle stesse, che da noi, a lingue è stato sempre presente); oppure all’arricchimento dei contenuti e delle metodologie didattiche e per attrarre ulteriormente gli studenti nativi digitali. Anzi, ti dirò, che il ricorso a questi tools io lo ritenevo oramai fondamentale e utile anche prima dell’emergenza da COvid-19 (anche da umanista!).

L’uso sapiente e calibrato degli strumenti digitali, al servizio della istruzione universitaria (e non al contrario, con effetto “vampirizzante”) dovrebbe servire a fare la differenza tra una didattica che rischia di essere percepita come vecchia, stantìa, noiosa e poco efficace e una didattica stimolante, capace di trasmettere conoscenza e competenza, motivando i millennials che affollano le nostre aule universitarie. Un po’ come la differenza che passa tra i musei organizzati secondo vecchi i sistemi della semplice esposizione dei reperti e delle opere d’arte nelle teche e quelli ultramoderni e dinamici, che con l’uso di filmati, video, e giochini multimediali catturano (e mantengono) l’attenzione del visitatore, impedendogli di addormentarsi sui divanetti posti al centro delle sale.

E’ a questo che dovremmo puntare, secondo me, alla costruzione di una didattica nuova, moderna e interattiva, in cui il docente in carne e ossa elabora i percorsi formativi (come dici tu, mirati, atti a valorizzare le potenzialità degli studenti più brillanti o a offrire un aiuto a quelli meno dotati) in cui i contenuti didattici sono erogati con mezzi tradizionali, ma integrati e veicolati con gli strumenti tencologici.

Grazie ancora,
un caro saluto

Cettina

Commento di Edoardo Rotigliano   

Caro Enrico,

concordo con le tue preoccupazioni e credo, a sgombrare il campo, che valga una considerazione. Ho anch’io, come tanti, la sensazione di star vivendo un’esperienza didattica (in remoto) nuova, intensa, con meno cose di un certo tipo e più cose di altro tipo. Sono certo che il corso che sto svolgendo stia formando secondo i miei auspici gli studenti che partecipano. Credo che, alla fine, avremo erogato delle diversamente eccellenti lezioni.
E non me ne sfugge la ragione: perché non siamo tele-docenti, né tele-ricercatori; e neanche fummo tele-studenti!
È tutto qua! Lo strumento tecnologico non è il soggetto/oggetto della lezione. Anzi, tanto più qualcuno vorrà trasformarlo di per sé in “lezione”, quanto più dovremo ribadirne l’asservimento strumentale al docente; al professore, oserei dire. Il che vuol dire che la qualità di un momento formativo organizzato in remoto, dipende dalla consapevolezza della “parte in commedia” che noi tutti siamo chiamati a svolgere. Ci sono Teams nei quali è bello entrare; ci sono aule che possono deludere.
Questo incrocia un dibattito che affligge le aree tecnico-scientifiche in tempi di asn. Ci troviamo spesso ai concorsi candidati super-titolati, perché provenienti da CNR e simili, imbarcando i quali l’università statale compie un salto nel vuoto, che rischia di tradursi in un fallimento della nostra (prima) missione. Non esiste una abilitazione nazionale didattica (e meglio così), però, compiere un percorso di crescita dentro l’accademia significa esattamente avere l’occasione di assorbire quella consapevolezza che oggi aiuta nel dare significato alle lezioni in remoto.
A riguardo, chiudo rilevando che siamo forse un po’ troppo in attesa di avere dal MIUR e dall’Ateneo stesso indicazioni precise circa le modalità necessarie per svolgere tutto. Forse a furia di essere governati si perde proprio la coscienza di sé! E allora mi sento di dire: saprò bene IO come fare ad insegnare e a valutare. Il tutto, POI, FORMALIZZATO secondo quanto Santa Romana Chiesa chiederà (se mai riuscirà a venirne a capo). Non credo che dobbiamo inventarci agenti dei RIS di Parma per FARCI UN GIUDIZIO. Assumiamoci la responsabilità di fare i professori e lasciamo a chi deve provarsi a mettere a norma la cosa, di preparare il vestito migliore. Peraltro, ho il sospetto che Ministri, Papi e Rettori… ci contino.

Commento di Aldo Di Leonardo       

Allora, siamo a un passo dalla definitiva rivoluzione dell’insegnamento (universitario) con la didattica da remoto? Sicuramente molti di noi utilizzano video/animazioni, specie in discipline scientifiche spesso non se ne può fare a meno, per trasmettere meglio alcuni concetti e discutere criticamente interagendo con gli studenti.

Ma volete mettere un contraddittorio dal ‘vivo’, senza interfaccia video di mezzo!! Innescare il dibattito fra studenti circa il razionale di un esperimento di un articolo scientifico su Nature/ Science (citati solo per esempio) o discuterne criticamente le conclusioni!

L’apprendimento è un’attività sociale che ha sempre bisogno dell’interazione fisica dal ‘vivo’ in una aula reale e non virtuale fra docente e discenti. Alla finfine è un rapporto fra persone che anche fisicamente con le loro espressioni di approvazione o disapprovazione partecipano attivamente alla condivisione della conoscenza di argomenti.

Per cui alla fine non sono convinto che questa didattica da ‘remoto’ sia davvero il ‘futuro’ e comunque necessaria se non in casi come quello che stiamo vivendo di emergenza dove si fa buon viso a cattivo gioco.

Da ultimo per chi volesse può guardare questo video…su YouTube di Derek Muller che enfatizza l’importanza del ‘teacher’ e non degli strumenti.

Aldo Di Leonardo

Commento di Roberto Scaffaro            

Ciao Enrico,
Grazie per i tuoi contributi che riescono sempre a puntare la nostra attenzione verso questioni di spessore e rilevanti per la nostra professione.

Ho letto con interesse anche i commenti dei colleghi, volevo aggiungere qualche riflessione personale.
Tu scrivi che il modo di insegnare non è sostanzialmente cambiato da vent’anni a questa parte. Diciamo che è vero solo in parte. L’avvento delle lavagne luminose prima, dei proiettori poi e quindi di internet con tutte le sue risorse (dai semplici motori di ricerca a YouTube o i social) secondo me hanno modificato non solo gli strumenti della didattica ma anche il modo di insegnare: oggi i ragazzi verificano, approfondiscono, integrano in tempo reale quanto il docente comunica loro, accedendo a serbatoi di informazioni prima fuori portata. Vent’anni fa, ad esempio, era impensabile commentare abitualmente con gli studenti articoli scientifici pubblicati su tematiche affrontate nel corso, o guardare dei video esplicativi di un processo tecnologico o un esperimento.

Volenti o nolenti, i docenti si sono adeguati a questa nuova configurazione, perché è cambiato il modo di imparare e conseguentemente quello di insegnare, con una visuale che è e deve diventare sempre più studente-centrica piuttosto che docente-centrica, nel senso che sono e saranno gli studenti a decidere il modo in cui apprendere, non noi a imporlo. Noi decideremo “cosa”, guideremo, filtreremo conclusioni o nozioni errate, ma il “come” farlo saranno le loro richieste e pressioni a stabilirlo.

Prima il docente era una specie di vate incontestabile e monolitico. Oggi questa figura non può più esistere: la consapevolezza e la possibilità di controllo da parte degli studenti è tale da relegare i nostalgici delle “cattedre” a esemplari da riserva protetta. Oggi il ritmo lo danno i ragazzi, con la loro voglia di provare, sperimentare, applicare, mettere in pratica rapidamente le conoscenze.

Sì, a molti manca il contatto umano, ma questo conterà poco se gli studenti chiederanno forme di didattica a distanza o si evolveranno in tal senso. Ricordo bene colleghi oggi in pensione lamentarsi perché con l’avvento della lavagna luminosa avevano perso il contatto col gesso della lavagna: beh, mi pare che parliamo della stessa cosa, seppure a un livello diverso. La prima domanda che oggi mi fanno gli studenti è: ci dà le slide del corso?

I ragazzi, secondo me, sono già pronti da tempo per questa modalità di insegnamento, secondo me non lo siamo del tutto noi. Il futuro sarà lì – presto o tardi – e, come dici tu, porterà probabilmente a un ripensamento di ruoli e numeri dei docenti delle università. Possiamo ignorare questa tendenza e sperare che tutto torni “come prima” (ma davvero ci piaceva?) oppure possiamo cavalcare questa opportunità, nata da una disgrazia ma certamente stimolante. Opterei per la seconda ipotesi.

Chiudo considerando anche io quanto già detto da altri colleghi: il docente, non il modo i gli strumenti, fa la differenza in una didattica di successo. Un docente bravo ed efficace lo è alla lavagna, al computer o sulla sabbia.

Grazie ancora per le tue riflessioni che leggo sempre con interesse.

Un abbraccio e buona giornata

Roberto

Commento di Matteo Di Gesù     

Caro Enrico,
grazie per il tuo prezioso contributo e per avere creato questo spazio di discussione: tutti gli interventi mi sembrano assai utili. Segnalo a te e a tutti che anche la rivista “Griselda on line”, nella sezione “Diario da una quarantena”, sta ospitando alcuni interventi sulla didattica a distanza nell’università e nella scuola. Questo il link.

 

2 pensieri riguardo “Approfondimenti sulla didattica a distanza

  • 2 Aprile, 2020 in 6:29 pm
    Permalink

    Caro Enrico, ho letto dei commenti molto interessanti. Ti mando il mio confidando che se ne possa parlare di presenza…

    A presto Aldo.

    Commento:
    Allora, siamo a un passo dalla definitiva rivoluzione dell’insegnamento (universitario) con la didattica da remoto? Sicuramente molti di noi utilizzano video/animazioni, specie in discipline scientifiche spesso non se ne può fare a meno, per trasmettere meglio alcuni concetti e discutere criticamente interagendo con gli studenti.

    Ma volete mettere un contraddittorio dal ‘vivo’, senza interfaccia video di mezzo!! Innescare il dibattito fra studenti circa il razionale di un esperimento di un articolo scientifico su Nature/ Science (citati solo per esempio) o discuterne criticamente le conclusioni!

    L’apprendimento è un’attività sociale che ha sempre bisogno dell’interazione fisica dal ‘vivo’ in una aula reale e non virtuale fra docente e discenti. Alla finfine è un rapporto fra persone che anche fisicamente con le loro espressioni di approvazione o disapprovazione partecipano attivamente alla condivisione della conoscenza di argomenti.

    Per cui alla fine non sono convinto che questa didattica da ‘remoto’ sia davvero il ‘futuro’ e comunque necessaria se non in casi come quello che stiamo vivendo di emergenza dove si fa buon viso a cattivo gioco.

    Da ultimo per chi volesse può guardare questo video…su YouTube di Derek Muller che enfatizza l’importanza del ‘teacher’ e non degli strumenti.
    https://m.youtube.com/watch?v=GEmuEWjHr5c&fbclid=IwAR0kDiIHoA__ibtvNQUPZ10-J-ROpZ6AjU7YmH1Lgw9znCeEX7AJ7tT6WoM

    Aldo Di Leonardo

    Risposta
  • 4 Aprile, 2020 in 12:38 pm
    Permalink

    Caro Enrico,
    grazie per il tuo prezioso contributo e per avere creato questo spazio di discussione: tutti gli interventi mi sembrano assai utili. Segnalo a te e a tutti che anche la rivista “Griselda on line”, nella sezione “Diario da una quarantena”, sta ospitando alcuni interventi sulla didattica a distanza nell’università e nella scuola. questa il link:
    https://site.unibo.it/griseldaonline/it/diario-quarantena?fbclid=IwAR0qmkigZ6w1-da81MV5q9xes8PPdwLBoVxLMh7Xtv1J9oelMTA90LlwlI8

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