CdA UNIPA – Saranno vere elezioni?

1. Il valore del sistema elettivo.
2. Le infondate preoccupazioni sulla rappresentanza di area.
3. Candidature “uniche” di macro-area?
4. La privazione dell’elettorato passivo per un terzo dei docenti.
5. Ringraziamenti ai candidati e auspici per la fase elettorale.

1. L’Università di Palermo è uno dei pochi Atenei italiani in cui i componenti del Consiglio di Amministrazione sono in gran parte eletti dai docenti piuttosto che, come pretendevano i dirigenti del MIUR (che su questa questione si avventurarono in una serie di ricorsi, tutti persi, contro gli Statuti di diverse università italiane), designati dal Rettore o dal Senato Accademico.

Chi ricorda quella fase sa che tale risultato non era scontato e che fu necessaria una “valanga” di firme di tanti colleghi per ottenerlo. Il Senato mantenne però una certa “timidezza” e optò per un sistema “misto”, in cui i consiglieri sono designati “tenendo conto” del voto e di una serie di altri fattori (appartenenza a diverse macro-aree, a tutte le fasce e, adesso, a tutti i generi). Fin dalla prima approvazione dello Statuto post-Gelmini, e ultimamente anche in occasione delle recenti modifiche, ho provato senza successo a convincere i colleghi degli Organi di Governo che un’elezione “secca”, con la quale venissero eletti i 4 colleghi più votati, sarebbe stata preferibile. I complessi meccanismi di designazione adottati, infatti, temo possano falsare molto il risultato del voto e risultare poco idonei ad assicurare il rispetto delle scelte degli elettori (come accadde, ad esempio, con i professori La Mantia e Campisi, che non diventarono consiglieri pur avendo ottenuto più del doppio dei voti di altri colleghi designati).

2. Conosco ovviamente l’argomento opposto all’elezione pura: le aree più forti, si teme, prenderebbero tutto. Ma è davvero fondata questa preoccupazione? Se solo si guardano i numeri delle principali aggregazioni culturali:

  • agronomi, 100 docenti, un dipartimento;

  • architetti, 70 docenti, un dipartimento;

  • biologi (esclusa area medica), 90 docenti, due dipartimenti;

  • economisti e statistici, 90 docenti, un dipartimento;

  • giuristi e scienziati della politica, 170 docenti, due dipartimenti;

  • ingegneri, 200 docenti, un dipartimento;

  • medici e biologi di area medica, 300 docenti, tre dipartimenti;

  • psicologi e pedagogisti, 60 docenti, un dipartimento;

  • scienziati “di base”, 210 docenti, quattro dipartimenti;

  • umanisti, 170 docenti, due dipartimenti;

si vede subito che nessuna area sarebbe in grado di eleggere, da sola, più di un consigliere di amministrazione. Non mi pare quindi che il pericolo del “dominio” di una sola area sia davvero presente, in quanto nessuna ha un peso tale da diventare eccessivamente “ingombrante” rispetto alle altre.

Inoltre, i componenti del CdA devono agire nell’interesse dell’intero Ateneo ed è quindi inopportuno che essi si percepiscano, o vengano percepiti, come rappresentanti di una specifica macroarea. Questo infatti inevitabilmente favorirebbe la nascita di contrapposizioni, che certamente non aiuterebbero ad individuare gli interventi capaci di migliorare le sorti dell’Ateneo nella sua interezza. Avendo fatto parte del CdA, posso peraltro dire con convinzione che in nessuna occasione, da parte di nessun consigliere, si percepisce mai alcuna determinante influenza dell’area di provenienza nell’assumere una posizione o un’altra nelle questioni discusse.

Ferme restando, comunque, le regole statutarie vigenti, rimane da valutare come esse troveranno applicazione.

3. Sebbene ancora non si sia aperta la fase di presentazione delle candidature, le voci circolanti fanno temere che il numero di candidati possa risultare molto basso, forse addirittura uno solo per macroarea (pare con una sola eccezione). E’ evidente che una simile circostanza svuoterebbe di significato il passaggio elettorale, facendo perdere una delle poche occasioni di confronto sulle linee di sviluppo dell’Ateneo. Ognuno sarebbe infatti spinto a votare per il candidato della propria macro-area (anche indipendentemente dalle idee di cui questi si faccia interprete) e, in più, sarebbero favoriti i “calcoli” sul voto utile e le considerazioni “geo-politiche” che fanno perdere di vista la vera riflessione sull’Ateneo. Mi rendo conto che la mia insistenza su un voto di pura “opinione” appaia troppo ingenua, ma conosciamo tutti la fragilità dei sistemi democratici e quanto le forzature e i calcoli opportunistici li espongano ai pericoli della disaffezione del non-voto o dell’emersione di sistemi verticistici e autoritari.

Si pone, peraltro, un’importante questione: quali sono le procedure di scelta dei candidati “unici” di area? Sono affidate al caso? Alla velocità con cui si presenta la propria candidatura? Ai desiderata dei direttori dei dipartimenti o di qualche altro “potente”? Il problema non si porrebbe se vi fossero tanti candidati, la scelta tra i quali fosse affidata agli elettori, ma in un sistema di candidati unici già, in gran parte, eletti prima ancora del voto si tratta di una questione centrale. Spero non me ne vorranno quindi i colleghi candidati (tra i quali pare vi saranno diversi miei amici, qualcuno anche molto caro) se manifesto una certa preoccupazione per questo sistema e se rivolgo un accorato e pressante invito a tutti i colleghi affinché ciascuno valuti la possibilità di candidarsi, rompendo lo schema delle candidature uniche di area e dando così ad ogni elettore la possibilità di votare chi meglio possa rappresentare la propria idea di Ateneo. Se vi fossero più candidati in tutte le macro-aree, nessuno metterebbe a rischio, con il frazionamento del voto, la rappresentanza di quella di appartenenza e si tornerebbe ad un reale meccanismo elettorale e ad un confronto sulle idee e le personalità proposte.

4. Sono infine obbligato ad affrontare un ultimo aspetto molto importante. Il mio auspicio di un aumento del numero delle candidature si scontra infatti oggi con un’abnorme limitazione dell’elettorato passivo che le prossime elezioni sconteranno. L’Ateneo applica infatti una propria, autonoma (nonché, secondo me, illegittima), lettura estensiva dei divieti di partecipazione alle procedure concorsuali, dalle quali si pretende di dovere escludere i componenti del CdA. Essendo pendente un mio ricorso contro UNIPA su tale aspetto, eviterei di farvi cenno, se esso non portasse oggi alla perdita di fatto dell’elettorato passivo di TUTTI i colleghi ricercatori o associati che pensano di partecipare ad un concorso dell’Ateneo nel prossimo triennio. Essendo quasi 500 i colleghi abilitati, è evidente il pesantissimo vulnus che la scelta dell’Ateneo determina sulla procedura elettorale, dalla quale sono esclusi circa un terzo dei potenziali candidati. Tutto questo, peraltro, senza alcuna formalizzazione, dal momento che la pretesa incompatibilità che impedisce, di fatto, le candidature non è prevista in alcun regolamento, nonostante il SA ed il CdA siano appena intervenuti proprio sul Regolamento per le chiamate dei professori (e stupisce che i colleghi senatori e consiglieri non abbiano avvertito il dovere, etico ancor prima che giuridico, di chiarire tale aspetto).

E’ inutile che sottolinei quanto pesantemente risulterebbe colpita la legittimazione democratica delle prossime elezioni e del Consiglio da esse risultante laddove in futuro dovesse essere dichiarata non legittima la lettura dell’Ateneo dell’art. 18 della L. 240/2010 e, conseguentemente, ingiustificata la privazione di fatto dell’elettorato passivo per una larghissima parte del corpo elettorale. Ovviamente non so se questo avverrà, ma, a parte la recente chiara indicazione della sentenza n. 78/19 della Corte Costituzionale sulla necessità di una lettura non estensiva della norma (confermata da un’esplicita nota del prof. Valditara, capo-dipartimento del MIUR, nonché relatore di maggioranza della Legge Gelmini e, quindi, interprete della chiara volontà del legislatore), mi risulta personalmente che dai piani alti del ministero si stia pensando ad una norma di interpretazione autentica dell’art. 18 che chiarisca che i divieti non si applicano ai componenti degli organi ivi citati, in contrasto con la lettura dell’Ateneo.

Anche per questa ragione, quindi, ritengo sia indispensabile la presenza di molti candidati che, pur non risolvendo il problema qui evidenziato, almeno ne ridurrebbe gli effetti.

5. In ogni caso, conoscendo quanto sia pesante ed impegnativa la “campagna elettorale” per il CdA, ringrazio molto i colleghi che renderanno disponibili le proprie candidature e spero che non mancheranno le occasioni di incontro e di dibattito nelle quali confrontarci sui percorsi di sviluppo del nostro Ateneo. Ne abbiamo bisogno tutti noi come operatori del sistema dell’alta formazione e della ricerca ma, soprattutto, ne ha bisogno un territorio difficile ed economicamente depresso come quello su cui operiamo.

Materiali

Statuto dell’Università di Palermo

Sentenza n. 78/2019 della Corte Costituzionale

Nota ai Rettori del prof. Valditara sulle incompatibilità nei concorsi

3 pensieri riguardo “CdA UNIPA – Saranno vere elezioni?

  • 13 Giugno, 2019 in 6:06 pm
    Permalink

    Come sempre riporti una analisi interessante che lascia spunto a molte riflessioni. Devo dire che la problematica è ampia e forse alcune cose sarebbe proprio meglio cambiarle radicalmente anzichè cercare di aggiustare sempre il tiro con strani artefici. Certo che con la storia della incompatibilità e del conflitto di interessi gli abilitati per esempio non sanno nemmeno quale sia la programmazione a meno di riunioni informali e notizie di corridoio. Questo non è che un esempio di cose che sicuramente andrebbero quanto meno ripensate.

    Risposta
  • 18 Giugno, 2019 in 11:26 am
    Permalink

    Caro Enrico,
    Abbiamo letto con attenzione la tua analisi e desideriamo dirti che non condividiamo diversi punti che hai sollevato

    1) Sulla procedura di designazione. Riteniamo che la procedura di designazione adottata dagli organi di governo dopo una lunga e partecipata riflessione che ha coinvolto anche i dipartimenti e le scuole, seppur perfettibile, presenti diversi vantaggi; in particolare, la presenza di docenti di diverse fasce e di diverse aree culturali è secondo noi molto importante, perché può offrire la possibilità di affrontare i problemi da diversi punti di vista, consentendone una migliore comprensione e permettendo di trovare soluzioni più efficaci e più trasversali. D’altra parte, ci sembra che un’eventuale discussione su possibili modifiche della procedura possa certamente avere luogo in modo più proprio non in questa fase che dovrebbe focalizzarsi sul confronto tra le idee e i progetti dei candidati, ma in un momento successivo.

    2) Sulle procedure di scelta dei candidati “unici” di area. Non sappiamo se le nostre saranno le uniche candidature o meno delle aree. In ogni caso, ci sembra necessario precisare, se ci fosse alcun dubbio in merito, che le nostre candidature non sono frutto di “procedure di scelta” dei candidati né del caso. Non siamo stati certamente scelti o selezionati, ma, dopo lunga riflessione, e, dopo avere consultato numerosi colleghi al fine di ricevere un parere franco e costruttivo sulle nostre idee, abbiamo deciso autonomamente di candidarci, con l’intenzione di dare il nostro contributo all’Ateneo.

    3) Sul dovere “etico” di chiarire l’aspetto dell’incompatibilità dei componenti del CdA coinvolti in concorsi universitari. Desideriamo essere molto netti su questo aspetto. Non si può mai essere certi di fare sempre le scelte più giuste e così anche in quell’occasione non siamo sicuri di avere fatto le scelte migliori, ma siamo sicuri di esserci mossi secondo coscienza.

    Onofrio Scialdone e Maurizio Sajeva

    Risposta
  • 20 Giugno, 2019 in 6:51 am
    Permalink

    Cari Nuccio e Maurizio,
    come sapete sono d’accordo con voi su quasi tutto.
    1) Sono convinto anche io che sia importante la presenza di docenti di diverse aree e fasce. Quello che scrivo nell’articolo è che questa condizione sarebbe comunque verificata lasciando la scelta al voto, in quanto la distribuzione tra le aree e le fasce è così varia da rendere estremamente improbabile la concentrazione su un’area. In ogni caso, il tema non è in discussione, essendo appena stato approvato il nuovo Statuto, ma questo non esclude che un articolo di “analisi” lo possa affrontare.
    2) Sulle “vostre” candidature, so bene come sono maturate e cosa rappresentano e le considero un esempio ottimo di come si debba procedere: un collega si mette autonomamente a disposizione e, essendosi confrontato con altri colleghi per sondare un eventuale “gradimento” della base, si candida, senza sapere né preoccuparsi di chi saranno eventuali altri candidati della stessa area. La mia preoccupazione e la mia critica riguardano la teorizzazione, che in qualche caso viene fatta, della “necessità” di avere candidati unici in ciascuna macro-area. E’ lì che secondo me nasce il problema e che diventano importanti le “procedure di scelta” ed i soggetti cui sono affidate.
    3) Anche io sono certo del fatto che non soltanto Voi, ma anche tutti gli altri componenti del SA e del CdA, vi siete mossi secondo coscienza. E conosco e apprezzo la Vostra dirittura morale, che per me non è minimamente in discussione. Sono però convinto che da parte degli Organi di Governo vi sia stata una certa “disattenzione” sul problema che, da quanto leggo dai Vostri resoconti, non è stato nemmeno oggetto di discussione. So anche che qualcuno dei componenti degli Organi si è posto il problema e, per ragioni diverse, ha poi preferito non affrontarlo. Probabilmente ho sbagliato a parlare di dovere “etico” e mi scuso se ho urtato la sensibilità di qualcuno dei componenti degli Organi di Governo. Avrei dovuto più propriamente parlare di “responsabilità politica”, per avere perso un’ottima occasione per rimediare alla gravissima mancanza di chiarezza dei nostri Regolamenti su un tema così importante e delicato come quello delle incompatibilità.

    Risposta

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