Non è un campionato di calcio
Anche quest’anno, come sempre all’inizio dell’estate, la pubblicazione della classifica delle università stilata dal CENSIS regala qualche soddisfazione a diversi atenei, tra cui sicuramente quello di Palermo. In questa graduatoria UNIPA si colloca infatti al primo posto tra le università siciliane, al quarto tra quelle del Sud (dopo quelle della Calabria, di Foggia e del Salento e molto prima della Federico II di Napoli) e più in alto rispetto a prestigiosi atenei come, ad esempio, l’Università di Pisa.
E’ allora questo il momento più propizio per dire, con decisione e convinzione, che queste classifiche non valgono assolutamente NIENTE e che non è per nulla vero che l’Università di Palermo sia migliore di quelle di Napoli o di Pisa o peggiore della Sapienza di Roma. Non è vero per la semplice ragione che vi sono quantità misurabili (la temperatura di un ambiente o la dimensione di un oggetto, per fare qualche esempio banale) e altre quantità che intrinsecamente sfuggono alla misura, tra le quali certamente figura la qualità di un’istituzione di alta formazione e ricerca. Fare una graduatoria tra le università ha lo stesso valore culturale di una classifica dei film più belli del secolo o delle statue più espressive dell’antichità classica, graduatorie che ben potrebbero figurare tra le pagine dell’edizione ferragostana di un tabloid in crisi di vendite.
Il compito di un’istituzione seria, in questo frangente, è quello di ristabilire un po’ di buon senso e, senza cadere nella tentazione di cavalcare queste vuote notizie, dare il proprio contributo all’approfondimento della questione. Deve essere con pazienza e chiarezza spiegato che, piaccia o meno a chi insegna, un percorso universitario è fatto di incontri, studio personale, scelte individuali, lavoro di gruppo e che spesso un risultato finale eccellente è il frutto delle condizioni di partenza, del contesto di appartenenza e delle personali inclinazioni e determinazione almeno quanto delle qualità dei docenti. Vi sono peraltro scienziati di livello mondiale poco capaci di insegnare e onesti ricercatori che assicurano una straordinaria esperienza di apprendimento ai loro studenti. E, in ogni università pubblica italiana, vi sono centinaia di docenti che rientrano in entrambe le suddette categorie, con un livello medio decisamente alto per tutti gli Atenei, come chiaramente dimostra la facilità con cui i “nostri” laureati, da qualunque università provengano, trovano occupazioni prestigiose e di grande soddisfazione in altri Paesi europei o extra-europei.
Anche chi condivide le precedenti considerazioni ritiene spesso che sia comunque necessario occuparsi e prestare attenzione a quelle classifiche, pensando che esse possano influire sulle scelte delle famiglie dei futuri studenti. Questa aspettativa fa il paio con quella, altrettanto fallace ed illusoria a mio avviso, di chi pensa che la presenza quotidiana di un’università sulle pagine dei giornali possa migliorarne l’immagine e favorire l’aumento delle iscrizioni. Non è certo negativo riuscire a godere di “buona stampa”, ma talvolta questo obiettivo viene perseguito in maniera eccessiva, destinando attenzione e risorse in maniera del tutto squilibrata rispetto a quanto esso realmente meriterebbe.
Un’università come UNIPA ha 40.000 studenti, che significano altrettante bacheche Facebook o profili Instagram e almeno un centinaio di migliaia di parenti stretti e amici con cui essi si confrontano quotidianamente. Non c’è nulla quindi che possa influire di più sull’immagine dell’Ateneo di quanto viene condiviso sui social o raccontato da questa enorme massa di persone, attente ed istruite, la cui esperienza diretta testimonia della qualità dei servizi, della disponibilità dei docenti, del livello di confort degli ambienti di studio e apprendimento e di tutto quello che contribuisce a rendere o meno apprezzabile un percorso universitario.
Un ultimo punto credo andrebbe sottolineato e riguarda l’importanza dell’azione del Rettore e degli organi di governo. Nel quadro di banalizzazione e semplificazione cui ci andiamo sempre più assuefacendo, sembra che i risultati ottenuti da un Ateneo dimostrino in primo luogo l’efficacia o il fallimento di quelle azioni. Un aumento del numero degli iscritti o un miglioramento della valutazione VQR vengono immediatamente rivendicati come un successo dei “vertici” istituzionali dell’Ateneo (o il loro peggioramento addebitato come una loro responsabilità), senza adeguatamente riconoscere che, nella già limitata misura in cui tali risultati dipendono da circostanza interne all’Ateneo, il loro merito è quasi interamente attribuibile ai singoli docenti che ogni giorno entrano in aula o nei loro laboratori o studi. Gli organi di governo ed il Rettore prendono decisioni importanti, la cui effettiva ricaduta si manifesta però su tempi molto lunghi e con un tale livello di interazione con i fattori esogeni da rendere poco credibile ogni tentativo di stabilire una deterministica correlazione tra le azioni intraprese ed i risultati ottenuti (soprattutto nel breve periodo).
In questi giorni si è ampiamente discusso nell’Università di Palermo di un tema francamente marginale come il mantenimento o meno di un numero di iscritti superiore alle 40.000 unità. Il CENSIS ha attribuito all’Ateneo un valore inferiore a tale soglia, mentre il Rettore ne rivendica il superamento nell’A.A. 2016/17. Ha certamente ragione il Rettore, ma non credo sia molto utile soffermarsi su queste inezie, anche perché nel prossimo anno accademico tale soglia potrebbe non essere raggiunta, senza che questo eventualmente dimostrerebbe alcun peggioramento della qualità o dell’importanza dell’Ateneo. Sono stati al riguardo diffusi dati che dimostrano una tendenza alla continua riduzione del numero di immatricolati dal 2008, sostanzialmente arrestatasi solo a partire dal 2016 (il ché probabilmente comporterà una riduzione del numero di iscritti complessivi ancora per uno e due anni, per poi arrestarsi e, forse, invertire il proprio segno). E’ colpa del Rettore Lagalla la precedente riduzione o merito del Rettore Micari l’inversione di tendenza? E’ sufficiente osservare i dati regionali e nazionali per verificare che gli stessi trend si sono verificati ovunque e che quindi le specifiche azioni messe in campo dall’Ateneo possono avere influito in maniera solo marginale su tendenze in atto su scala molto più ampia.
Non si intende qui ovviamente sostenere che l’azione di un Rettore sia irrilevante per un Ateneo. Il ruolo di guida che la legge gli attribuisce è fondamentale per assicurare le condizioni migliori all’interno delle quali ogni docente e ogni tecnico-amministrativo possa svolgere al meglio il proprio lavoro. Per istituzioni come quelle universitarie ciò richiede in primo luogo la valorizzazione del contributo di ciascuno, il mantenimento di un giusto equilibrio tra investimenti e prudenza contabile, la rimozione progressiva degli ostacoli burocratici e, elemento sempre più raro nel contesto verticistico disegnato dalla Legge Gelmini, la promozione di un confronto continuo, libero e aperto alla ricerca delle soluzioni migliori per l’interesse generale.
Su questo soltanto si può fondare un giudizio serio. Senza voti e senza classifiche o altre semplificazioni.
Certamente le classifiche hanno molti difetti; i criteri possono essere scritti in modo tendenzioso, oppure avendo in mente un modello astratto di servizio. Per i beni materiali fare classifiche è un poco più facile e sensato (penso alle classifiche di “Quattroruote” o “Altroconsumo”), ma anche qui si possono prendere cantonate. P.es., forse oggi un’auto col Bluetooth è di moda e riceve punti, ma lascia completamente freddo me, e credo molti altri.
Però un nocciolo di informazioni aggregate – e credo di prima mano – queste classifiche ce la danno. Sono d’accordo che non dobbiamo usarle per abbellire le nostre “vetrine”, ma piuttosto per ragionare e migliorarci. L’eventuale successo non mancherà ad arrivare.
Per potere insegnare meglio, un miglior supporto tecnico-amministrativo ci serve certamente. E la rimozione progressiva degli ostacoli burocratici farebbe rendere di più il nostro tempo, la nostra competenza e i nostri entusiasmi. Di più: io credo che sia uno dei pre-requisiti anche per l’internazionalizzazione.
Ci serve anche avere la possibilità di far fare qualche esercitazione in laboratorio, o qualche Tesi sperimentale. Oggi siamo arrivati al paradosso che dobbiamo farlo clandestinamente, assicurando che ogni misura fatta dallo studente confluirà nell’immancabile Progetto di Ricerca.
Tutti i nostri laboratori poi sono sotto una spada di Damocle: la sicurezza. Il singolo apparecchio o banco di solito sono sicuri, ma vedere prolunghi e multiprese elettriche è abbastanza frequente, e le misure di sicurezza generali come i ricambi dell’aria, l’insonorizzazione, i pozzetti di scarico dei pavimenti ecc. sono enormemente indietro rispetto alle necessità.
Questa situazione obiettivamente penalizza i ricercatori sperimentali rispetto p.es. ai modellisti. E ai nostri laureati triennali che frequentano Magistrali in altre Sedi salta immediatamente agli occhi (e ce lo dicono!).
Infine: sembra strano doverlo dire in una Università, ma i nostri ragionamenti dovrebbero sempre essere fondati. E io non riesco a vedere il fondamento dell’affermazione che in Sicilia (per restare in tema) manchino laureati. Una prova fra cento ce l’abbiamo in ogni occasione in cui i CCdS fanno il sondaggio degli “stakeholders”: è difficilissimo trovare Aziende che ritengono l’Ateneo importante o condizionante per il loro lavoro, e ancora più difficile ottenere dichiarazioni di intenti o almeno di prospettive di assunzioni.
Il numero dei nostri iscritti non dovrebbe dunque preoccuparci in sè. Addirittura si potrebbe pensare ottimisticamente che forse qualche Tecnico Diplomato abbia trovato il lavoro per il quale aveva studiato, anche senza dover conseguire una Triennale. Oppure abbia rimandato (cosa normale in altri Paesi).